Nicola Massimo de Feo, 08/02/2022
Materiale datato: 01/01/1964
Ne La verità dell’arte (1964), Nicola Massimo de Feo riconduce la problematicità dell’arte alla più ampia condizione umana, caratterizzata da una messa in discussione sempre più radicale e trasformativa dei valori della vita individuale e sociale. In particolare, il filosofo mette in evidenza la riduzione dell’arte all’«estetico dell’esistenza» e il rifiuto di una possibile razionalità sociale nell’orizzonte artistico.
Il problema della verità dell’arte scaturisce oggi dalla situazione di totale problematicità della presente condizione umana, nella quale i tradizionali valori della vita individuale e sociale vengono sempre più radicalmente messi in discussione e trasformati. La ricerca di una verità dell’arte si pone nell’orizzonte più ampio della ricerca di un senso nuovo della esistenza. La problematicità investe l’arte non più in quanto valore culturale, ma in quanto modo di vivere dell’uomo di oggi, atteggiamento che presenta una determinata struttura psicologica e sociale. Nell’ambito della riduzione dell’arte alla sua dimensione comportamentale, essa si offre ad una analisi descrittiva che ne evidenzia le operazioni ed i significati che la costituiscono come un determinato progetto di vita individuale e sociale. La verità dell’arte, per l’uomo di oggi, consiste in quei condizionamenti psicologici e sociologici che tale analisi descrittiva riuscirà a mostrare come costituenti il fondamento esistenziale della parola «arte».
Il fatto più importante dell’attuale problematizzazione dell’arte è la sua riduzione a progetto esistenziale, riduzione che non implica necessariamente la sua definizione attraverso i modelli vecchi o nuovi dell’estetismo e di formule genericamente decadentistiche, ma la sua comprensione al livello precategoriale del «vissuto», come ESPERIENZA ORIGINARIA DELL’IMMEDIATO ESSERE-NEL-MONDO. Nell’ambito di questa riduzione l’arte appare la totalizzazione dell’immediato nella visione, ascesi dell’intuizione che si sottrae ai processi mediati della costituzione di senso dei fenomeni esistenziali, per giungere alla visione ASSOLUTA della loro identità. In questo processo l’arte si definisce come l’ESTETICO dell’esistenza, in quanto essa ripete, al livello esistenziale del vissuto, la struttura di totalità della tradizionale visione del mondo propria dell’estetica classica. Le poetiche dell’«opera aperta», pur presentando il fenomeno della riduzione precategoriale dell’arte in modo che – al di là della forma chiusa – mostrano la polidimensionalità di significati dell’intuizione-costruzione dell’arte nuova, restano necessariamente sul piano progettuale dell’estetico, al livello della pura immediatezza.
La tensione per la totalità immediatamente vissuta – come intuizione/creazione e come intuizione/costruzione – definisce lo schema comportamentale dell’ESTETICO dell’arte, sia nell’esperienza categoriale della teorizzazione estetica, sia nell’esperienza precategoriale dell’«opera aperta». Il senso dell’arte di pone oggi ancora come senso di un’esperienza assoluta della totalità, che l’artista vive come problema di tutta la sua esistenza; e questo senso è il non-senso di ogni autentica esperienza artistica, destinata necessariamente, nella presente condizione umana, a negare la possibilità della comunicazione e dei suoi processi mediati, nell’ascesi di una visione totale, sia essa creata o costruita, ad una o a più dimensioni. L’apertura a nuove forme e a nuovi linguaggi artistici, quando si definisce nella forma pur problematica dell’estetico – come accade per Joyce – non un’apertura autentica a nuovi reali significati dell’esistenza, ma il punto limite della dissoluzione della struttura estetica dell’uomo e della società tradizionali, dei loro valori e dei loro schemi operativi. La possibilità dell’arte e dell’artista, nella società contemporanea, è condizionata dalla negazione della ragione sociale della comunicazione e della comprensione, in quanto in questo società, come quella attuale, caratterizzata dalla alienazione dei rapporti reali di produzione e di riproduzione, l’arte è legata necessariamente all’estetico. L’impulso nullificante, in cui si smaschera il reale fondamento dell’aspirazione all’assoluto, pone l’artista di fronte all’alternativa di annientare la possibilità della ragione nella visione dell’arte, oppure di annientare l’arte nella costruzione della nuova razionalità sociale. La disposizione estetica in cui e da cui necessariamente si genera ogni forma di produzione artistica, sottrae all’arte la sua proprietà razionale di «tecnica», di mediazione dei rapporti interpersonali. L’alienazione dell’arte – come l’alienazione della società contemporanea – è la perdita della sua razionalità tecnica e la connessa caduta dell’estetico. Nelle condizioni attuali della società e in base alla presente struttura dell’uomo di oggi non è possibile un senso razionale dell’arte, ma solo la sua dissoluzione nell’esperienza dell’impossibilità dell’esistenza.
La problematicità dell’arte, la quale pone oggi in questione la sua validità per l’esistenza dell’uomo, cioè la sua «verità», è la stessa problematicità a cui è pervenuta la coscienza filosofica dell’uomo di oggi, che pone in discussione la «verità» della sua esistenza, della sua ragione e della sua scienza. La problematicità dell’arte non si esaurisce pertanto nella riduzione dell’arte all’esperienza del suo fondamento precategoriale, ma perviene ad una rivolta contro l’estetico, attraverso la negazione dell’arte. L’arte non ha più ormai una verità razionale oltre l’esperienza limite dell’impossibilità di ogni senso umano. Lo svilupparsi della coscienza problematica nell’artista oggi rappresenta l’aspetto più positivo della dissoluzione dell’umano nell’esperienza precategoriale dell’estetico, in quanto conduce a completare e saldare il processo d’integrazione tra l’artista e la sua società e alla formazione di una coscienza rivoluzionaria attraverso la negazione dell’arte. Se la coscienza problematica che l’artista ha suscitato in sé non vale solo a modificare le forme di produzione e di espressione, ma rappresenta un essenziale momento di rottura e di trasformazione delle infrastrutture psico-sociali dell’esistenza, l’artista deve sospendere il suo progetto artistico, riconoscendo nell’arte un valore negativo della società e dell’uomo ch’egli intende modificare. La verità dell’arte sta oggi nella sua capacità di distruggersi come arte, negando di avere più un senso razionale. La parola «arte», quando venga liberata dall’INTENZIONALITÀ ESTETICA a cui necessariamente viene ricondotta NELL’UOMO DI QUESTA NOSTRA SOCIETÀ, con la modificazione di questo uomo di questa nostra società, allora potrà riacquistare quel valore di «tecnica» della comunicazione esistenziale che le è originariamente proprio. L’impulso nichilistico dell’intenzionalità estetica non è solo infatti una forma del comportamento individuale dell’artista e dell’uomo singolo, ma è anche una struttura reale della società contemporanea, quella struttura che Marx ha descritto come «alienazione del lavoro». La mancanza di una razionalità sociale nell’uomo e di una ragione umana nella società rende impossibile un significato razionale dell’arte come intenzionalità tecnica.
La costituzione del senso nuovo dell’esistenza sociale precede la costituzione del valore tecnico-produttivo dell’arte nuova, la cui esistenza è problematicamente connessa alla costituzione ed alla costruzione della società non alienata. La negazione dell’arte è oggi indispensabile alla formazione della coscienza rivoluzionaria dell’uomo in rivolta contro i valori della società tradizionale, nella lotta contro l’impulso nichilistico della tensione-comprensione-visione per la totalità immediata dell’originario essere-nel-mondo. La costituzione del senso razionale della comunità, attraverso la tecnica della scienza, pone in una sospensione indefinita la verità «estetica» dell’arte. Annullandosi, l’arte rivela alla coscienza problematica dell’artista l’orizzonte delle contraddizioni e delle irrazionalità in cui egli progetta la sua ribellione. La «verità» dell’arte oggi è la negazione dell’arte, negazione che è l’impegno per la riappropriazione da parte dell’artista di un nuovo senso dell’arte.