I detenuti come operai sociali

Nicola Massimo de Feo, 01/12/2020

Datato: 01/01/1990

In I detenuti come operai sociali (1990) e Il folle come operaio sociale (1992) de Feo analizza i momenti di rottura della razionalità borghese nella presa di coscienza e nelle rivendicazioni degli esclusi: i “folli” degli ormai ex manicomi e i detenuti delle carceri.
Nello specifico, in questo articolo il filosofo barese riflette sul nesso capitalistico tra mercificazione, sfruttamento e oppressione riprodotto nella sua forma più perfetta e opprimente nell’istituzione carceraria. Nella critica alla “funzione rieducativa” in quanto recupero della repressione carceraria come controllo sociale (in cui si risentono echi foucaultiani) de Feo rintraccia la rottura di questo nesso, rileggendo in quest’ottica le rivolte carcerarie in Italia e Germania degli anni Novanta che riguardarono sia detenuti politici che detenuti cosiddetti “comuni”. Proprio in quanto il carcere è il terreno più sperimentato e avanzato di distruzione dell’individuo e successiva ricostruzione di quest’ultimo in corpo docile (come direbbe il Foucault di Sorvegliare e punire), esso diventa il luogo privilegiato della lotta per l’autodeterminazione: in questo vivere sociale antagonista i detenuti diventano operai sociali, non solo nella gabbia del carcere ma anche nella società “ingabbiata” dalla cella capitalistica, nella tensione alla riappropriazione sociale del corpo.

Heidegger e l'autonomia del negativo

Nicola Massimo de Feo, 15/07/2020

Datato: 01/01/1979

Heidegger e l’autonomia del negativo è il testo che De Feo pubblica in “Aquinas” nel 1979 per poi riprenderlo, modificato, nel volume L’autonomia del negativo (1992) con il titolo Marx, Heidegger e l’autonomia del negativo. Lo si può, forse, considerare come il terzo momento di un confronto con Heidegger iniziato già tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. In una congiuntura storico-intellettuale dominata da correnti esistenzialiste e fenomenologiche, l’allora ventenne De Feo attraversa l’opera di Heidegger dall’interno, come forse pochi intellettuali di quell’epoca hanno fatto. Nei primi anni Settanta la prospettiva cambia: all’attraversamento interno, e destrutturante dell’opera di Heidegger, segue una lettura in termini di storicismo politico, che mostra tutte le potenzialità e i limiti della rivoluzione conservatrice nella quale il pensiero di Heidegger si iscrive. Questa terza fase, alla fine degli anni Settanta, della quale Heidegger e l’autonomia del negativo testimonia, mette da parte ogni lettura che volesse riproporre “i consunti schemi interpretativi delle ideologie tardo borghesi e del catastrofismo”, scrive De Feo. Non solo Heidegger diventa, qui, il pensatore della sussunzione reale, ma anche l’autore che consente di strappare definitivamente Marx a Hegel e all’hegelismo. E questo attraverso una discussione radicale del tema del negativo. Dalla sinistra hegeliana ad Heidegger e alla scuola di Francoforte, il pensiero negativo ha permesso di liberarsi dai residui metafisici e di pensare le trasformazioni sociali ed economiche in termine storici. Tuttavia, così facendo, la traiettoria del pensiero negativo ha anche fissato o rovesciato la comprensione di questi fenomeni in un’ideologia del dominio totalitario e tecnologico del capitale. Pensare fino in fondo la questione della negatività, il peso più pesante che il pensiero del XIX secolo ci ha lasciato in eredità, è il compito che queste pagine ci danno da pensare. O, forse, è il compito al quale tutto il pensiero contemporaneo, in un modo o nell’altro, già da tempo cerca di sottrarsi, invano?