La filosofia di fronte alle scienze

Nicola Massimo de Feo, 05/10/2021

Datato: 18/03/1962

In occasione del XIX Congresso Nazionale di Filosofia (1962), Nicola Massimo de Feo sottolinea l’importanza di un atteggiamento problematico e problematizzante dell’uomo rispetto all’uomo, di un’attitudine questionante che riguardi l’essere umano nella sua essenza e nella sua esistenza all’interno della situazione storica degli anni ’60. Questa esigenza chiarificatrice ha valore ontologico nella misura in cui interroga «ciò che noi siamo ora», ciò che facciamo e ciò che vogliamo; essa è necessaria per una trasformazione dei concetti tradizionali di scienza, filosofia, religione ed esistenza, una trasformazione che rifiuti il «malcostume» del puro pensiero oggettivistico davanti al quale l’essere umano è mero spettatore esterno.

Malattia e memoria in Nietzsche

Nicola Massimo de Feo, 30/10/2020

Datato: 01/01/1973

In Malattia e memoria in Nietzsche del 1973 De Feo si scontra con la cecità che caratterizza il pensiero di Nietzsche, incapace di cogliere l’oggettività della prassi storica e sociale. Egli ravvisa nella pretesa nietzschiana di una "desoggettivazione" del pensiero, che dà corpo alla dimensione prospettico-dialettica della storia della materia, una inevitabile ricaduta in una più raffinata forma di soggettivismo, che si re‑instaura a fondamento delle interpretazioni della realtà. A partire dalla malattia e dalla morte del padre, incarnazione della "ragione" e della "legge" della vita sociale borghese nel suo carattere più nichilistico, il filosofo tedesco sancisce il rifiuto dell’uomo e di Dio, dei valori preesistenti, della filosofia metafisica e con essa della religione e della scienza, a favore di un bisogno di oggettività che si traduce nella teorizzazione di una filosofia storica, in cui la materia è processo senza soggetto, pensiero senza io. Tuttavia tale decostruzione critica – ed è questo il tema centrale dell’analisi di De Feo – non è e non può essere separata da un inevitabile ripiegamento sul troppo umano, da una deriva "psicoanalitica". Il troppo umano non viene mai dimenticato, bensì recuperato in una sintesi di tipo hegeliano che impedisce una conoscenza oggettiva del reale, il quale non appare se non come una possibilità secondo la disponibilità di senso del soggetto. Così si constata l’impossibilità di rimuovere il feticcio della memoria.

Heidegger e l'autonomia del negativo

Nicola Massimo de Feo, 15/07/2020

Datato: 01/01/1979

Heidegger e l’autonomia del negativo è il testo che De Feo pubblica in “Aquinas” nel 1979 per poi riprenderlo, modificato, nel volume L’autonomia del negativo (1992) con il titolo Marx, Heidegger e l’autonomia del negativo. Lo si può, forse, considerare come il terzo momento di un confronto con Heidegger iniziato già tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. In una congiuntura storico-intellettuale dominata da correnti esistenzialiste e fenomenologiche, l’allora ventenne De Feo attraversa l’opera di Heidegger dall’interno, come forse pochi intellettuali di quell’epoca hanno fatto. Nei primi anni Settanta la prospettiva cambia: all’attraversamento interno, e destrutturante dell’opera di Heidegger, segue una lettura in termini di storicismo politico, che mostra tutte le potenzialità e i limiti della rivoluzione conservatrice nella quale il pensiero di Heidegger si iscrive. Questa terza fase, alla fine degli anni Settanta, della quale Heidegger e l’autonomia del negativo testimonia, mette da parte ogni lettura che volesse riproporre “i consunti schemi interpretativi delle ideologie tardo borghesi e del catastrofismo”, scrive De Feo. Non solo Heidegger diventa, qui, il pensatore della sussunzione reale, ma anche l’autore che consente di strappare definitivamente Marx a Hegel e all’hegelismo. E questo attraverso una discussione radicale del tema del negativo. Dalla sinistra hegeliana ad Heidegger e alla scuola di Francoforte, il pensiero negativo ha permesso di liberarsi dai residui metafisici e di pensare le trasformazioni sociali ed economiche in termine storici. Tuttavia, così facendo, la traiettoria del pensiero negativo ha anche fissato o rovesciato la comprensione di questi fenomeni in un’ideologia del dominio totalitario e tecnologico del capitale. Pensare fino in fondo la questione della negatività, il peso più pesante che il pensiero del XIX secolo ci ha lasciato in eredità, è il compito che queste pagine ci danno da pensare. O, forse, è il compito al quale tutto il pensiero contemporaneo, in un modo o nell’altro, già da tempo cerca di sottrarsi, invano?